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2016 Anno Zero per il mondo musulmano

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Il conflitto siriano, lo spettro di Isis e Al Qaeda, la guerra fredda tra Iran e Arabia Saudita: per il mondo musulmano il 2016 sarà un anno decisivo.

Sarà un anno molto interessante, questo 2016, per il problema mediorientale. Le conseguenze derivanti dall’evolversi delle note vicende che interessano ormai tutta l’area tra Turchia e Yemen, Egitto e Iran, saranno davvero storiche.

Dopo un largo periodo di silenzio riprendo a scrivere su questo mio blog, avendo saltato a piè pari le tragiche settimane intercorse dalle stragi di Parigi alla precaria situazione dei migranti, su cui presto tornerò a scrivere (soprattutto sull’indecente comportamento dell’Unione Europea e l’inconcludenza del Governo Renzi che si dondola sull’abolizione del reato di immigrazione clandestina).

Ebbene l’anno si apre con una grande novità: finalmente il mondo musulmano è consapevole di dover risolvere un grave problema, che da secoli lo divora internamente.

È guerra fredda in Medio Oriente, ladies and gentleman. Iran e Arabia Saudita, sciiti contro sunniti, integralisti contro laici, i seguaci del genero di Maometto (Ali ibn Abi Talib) contro i seguaci del compagno dello stesso Profeta (Abu Bakr).

Proprio da questo naturale vizio di forma dell’antica religione monoteista nascono i peggiori problemi per la stabilità, l’ordine e il progresso delle nazioni araba musulmane. È la mancanza di una dottrina unitaria, un sacerdozio centralizzato che lascia aperti imperscrutabili orizzonti all’interpretazione soggettiva e alla pericolosa emanazione di leggi di condotta morale, le famigerate ‘fatwa’.

La maggior parte delle tensioni interne (esempio eclatante ce lo fornisce la politica nazionalista laica di Saddam Hussein che favoriva nettamente le tribù sunnite di Tikrit a discapito della maggioranza sciita irachena), sono proprio figlie di quell’antica ferita: stare con gli ‘eretici’ imam sciiti (che sono sia guide politiche che religiose) o con i califfi sunniti (che governano in primo piano rispetto agli imam), chiudersi e collassare su sé stessi o porgere la mano all’Ovest (che, adesso per l’Arabia Saudita, diventa persino strategicamente utile).

Il problema curdo, il terrorismo integralista, i regimi religiosi, i traffici di petrolio, le vittime civili in Siria e Yemen: tutto passa inevitabilmente dal conflitto tra queste due correnti.

Un aspetto che finalmente è esploso, con forza, in faccia agli orbi politicanti di Europa e Nazioni Unite. Un bene, perché ha chiarito a tutti che l’unica acqua santa capace si inumidire le polveri dei conflitti mediorientali può sgorgare solamente da una nuova presa di coscienza di quei paesi.

Anche se la guerra fredda tra Theran e Riyad può favorire gli integralismi (lo Stato Islamico pesca a mani basse tra le minoranze sunnite assetate di vendetta), le contraddizioni del terrorismo sono arrivate a un punto di degenerazione tale da provocare la condanna di molte comunità musulmane, che hanno cominciato ad aprirsi, lentamente, acquistando una nuova determinazione nello smascherare le ipocrisie dei propri apparati governativi e religiosi.

Esiste un’epidemia pericolosa interna all’Islam che molti ora riconoscono e possono vedere.

Ecco perché il cambio radicale che sposta il bersaglio dal falso nemico ‘esterno’ (l’Occidente) al doppio nemico ‘interno’ dell’intolleranza e dell’integralismo, potrà produrre una nuova maturità religiosa, attraverso un processo di identificazione e trasmissione di valori non più violenti per un futuro più sicuro per ogni figlio dell’Islam.

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